Determinazione della concentrazione dei biomarcatori di esposizione e analisi sulla influenza di fattori genetici individuali sulla esposizione interna ai PFAS

Qual è l’obiettivo dello studio?

Lo studio si propone di definire l’esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) di residenti in aree della Regione del Veneto interessate dalla contaminazione da parte di questi inquinanti delle acque destinate al consumo umano e di
residenti in Comuni ubicati in aree non interessate dalla contaminazione delle acque potabili. Sugli stessi individui saranno caratterizzati fattori genetici potenzialmente responsabili di variazioni nella concentrazione di PFAS nel sangue.

Quali sono gli inquinanti di interesse per lo studio?

Gli inquinanti ambientali oggetto dello studio sono i PFAS, un gruppo di sostanze organiche fluorurate, le cui molecole sono composte da una parte solubile nelle sostanze organiche e una parte solubile in acqua. La parziale solubilità in acqua ne determina una diffusa presenza nell’ambiente idrico. Tra i PFAS, l’acido perfluoroottanoico (PFOA) e il perfuoroottansulfonato (PFOS) sono le due molecole di gran lunga più abbondanti nell’ambiente e negli organismi, incluso
l‘uomo, a causa del loro vasto impiego a livello industriale e commerciale in vari settori (refrigeranti, tensioattivi, ritardanti di fiamma, lubrificanti, adesivi, cosmetici ed insetticidi).

Perché proprio questi inquinanti?

Per le loro caratteristiche i PFAS una volta immessi nell’ambiente vi rimangono inalterati per tempi anche molto lunghi (sono stabili e resistenti alle alte temperature), dall’ambiente possono passare all’interno degli organismi viventi e
all’interno dell’organismo tendono ad accumularsi nel tempo (si assorbono velocemente, non vengono trasformati e si eliminano lentamente).

Per queste loro caratteristiche i PFAS sono oggi contaminanti presenti in suolo, aria, sedimenti, polveri, ambienti idrici ed organismi viventi. In condizioni normali la principale via di esposizione a queste sostanze per l’uomo è il cibo, seguito dall’acqua potabile. Tuttavia, in presenza di contaminazioni anomale delle acque potabili il consumo di acqua può diventare una via espositiva molto importante. Poiché in studi precedenti è stata rilevata la presenza di PFAS in corsi d’acqua e nell’acqua potabile di alcune zone della Regione del Veneto, questo studio si propone di misurare i livelli dei PFAS individuati nelle acque per il consumo umano e nel siero degli abitanti di tali zone e di confrontarli con quelli di abitanti di zone di controllo, per valutare se la contaminazione delle acque abbia portato a un aumento di PFAS nei consumatori. 

Come sono state selezionate le aree di studio?

I Comuni da includere nello studio sono stati selezionati nelle aree identificate come a più elevato impatto in base ai dati di contaminazione ambientale da PFAS resi disponibili dalle ULSS e dalla Regione del Veneto. Nell’effettuare la selezione si è tenuto conto anche della storia pregressa delle aree in esame, a causa della persistenza ambientale e delle spiccate capacità di bioaccumulo dei PFAS. Per poter avere un elemento di confronto sono stati selezionati anche Comuni del territorio regionale simili per caratteristiche, ma dove non è stata evidenziata una contaminazione delle acque di matrice ambientale.

Come verrà realizzato lo studio?

Lo studio prevede la raccolta e l’analisi di campioni biologici (sangue) nei gruppi di individui che accettano di aderire allo studio.

Il campione di sangue che sarà prelevato (ca 6 ml) sarà suddiviso in due aliquote: una parte sarà analizzata per determinare il livello di PFASe l’altra per l’estrazione del DNA e la determinazione delle varianti dei trasportatori (analisi genetica). 

Per la popolazione generale verranno scelti 480 soggetti, 240 residenti nei Comuni selezionati come aree con più elevata presenza di PFAS nelle acque (Esposti) e 240 residenti in Comuni a presumibile esposizione di fondo (Non Esposti). In ogni area, verranno scelti 120 soggetti per sesso, 40 per ognuna delle classi di età: 20-29, 30-39 e 40-50 anni. All’interno di ognuna di queste fasce, si cercherà di assicurare una distribuzione il più possibile omogenea dell’età dei soggetti. Ogni soggetto dovrà essere residente nell’area da almeno 10 anni.

Nei Comuni con presenza di PFAS nelle acque verranno arruolati anche 120 agricoltori, allevatori o piscicoltori (Esposti agricoltori e allevatori) residenti in 20-30 aziende, stesse classi di età descritte per la popolazione generale, 60 soggetti per sesso, residenza nell’azienda da almeno 10 anni. Per questi ultimi, l’uso di acque contaminate per irrigazione o abbeveramento del bestiame, nonché il consumo di alimenti autoprodotti potrebbe aver portato a un’esposizioneaggiuntiva a PFAS. Potranno essere arruolati più soggetti appartenenti ad uno stesso nucleo familiare/aziendale.

Al momento del prelievo del campione ematico sarà consegnato ad ogni soggetto materiale informativo riguardante lo studio (modulo di consenso informato (in cui è descritto il progetto e le sue finalità), informativa a tutela della riservatezza dei dati personali). Al donatore verrà chiesto di sottoscrivere il modulo di consenso informato e di compilare tramite intervista un questionario che ha lo scopo di raccogliere le informazioni utili all’interpretazione del dato di biomonitoraggio e che contiene domande su stili di vita e abitudini alimentari.

Le informazioni personali raccolte nell’ambito dello studio e i campioni di sangue verranno identificati solo da un codice, senza alcun riferimento al donatore.

I dati verranno raccolti ed archiviati in modo adeguato e saranno utilizzati solo da personale autorizzato, esclusivamente per gli scopi di questo studio.

Il biomonitoraggio: prerogative e limiti

Il biomonitoraggio umano è uno strumento efficace per la valutazione dell'esposizione a inquinanti ambientali attraverso la misura della concentrazione di tali inquinanti e/o dei loro metaboliti (cioè sostanze da esse derivate) nei liquidi e nei tessuti del corpo umano, come ad esempio urina, sangue, latte materno e capelli.

Il biomonitoraggio serve a rilevare la dose interna (cioè l’esposizione complessiva) a un certo inquinante, considerando:

  • x Tutte le fonti di esposizione (alimenti, aria, acqua e suolo),
  • x Tutte le vie di esposizione (respirazione, ingestione e contatto cutaneo)
  • x le caratteristiche individuali (stili di vita, metabolismo ecc.).

I dati di biomonitoraggio forniscono per questo la migliore stima dell’esposizione da utilizzarsi nella valutazione del rischio tossicologico per la salute umana.

Una fase molto delicata di uno studio di biomonitoraggio è l’interpretazione dei risultati. Nel caso di analisi di PFAS è da tenere presente che tutta la popolazione ha livelli circolanti determinabili di tali sostanze. La presenza di un contaminante non è automaticamente associata ad un effetto sulla salute.

I dati ottenuti possono essere confrontati con i valori abitualmente riscontrati nella popolazione generale, e quindi permettere di individuare soggetti sottoposti ad una maggiore esposizione. Per tali soggetti possono essere messe in atto
azioni per limitare l’esposizione (a meno che non si tratti di esposizione pregressa e oramai terminata), o iniziare attività che permettano di monitorarne la situazione nel tempo.

In questo caso specifico, lo studio di biomonitoraggio è affiancato dalla ricerca di alcune caratteristiche genetiche che permetteranno una migliore interpretazione di eventuali variazioni di livelli di PFAS nel sangue dei diversi individui.

Perché saranno studiate le varianti genetiche?

L’ eliminazione molto lenta dei PFAS dagli organismi animali è dovuta a fenomeni di riassorbimento a livello renale, un processo regolato da alcuni trasportatori, presenti nel rene per riassorbire alcune sostanze utili all’organismo (trasportatori degli anioni organici OAT). La presenza e l’attività di questi trasportatori varia tra le specie e determina le differenze di persistenza nel sangue: per esempio l’eliminazione di PFOA nel ratto femmina è 40 volte più veloce rispetto al ratto maschio, perché i trasportatori che determinano il riassorbimento sono meno attivi nella femmina. Nell’uomo, dove i trasportatori sono molto attivi, la permanenza nel sangue è molto maggiore. Ma non tutti gli individui hanno gli stessi livelli di riassorbimento, perché i trasportatori sono presenti in varianti genetiche diverse (o polimorfismi genetici).

Potrebbero quindi essere presenti differenze nelle concentrazioni di PFAS nell’organismo dovute alle specifiche differenze genetiche.

Quindi nel caso in cui i livelli di PFAS nel sangue degli individui arruolati presentino variazioni interindividuali non spiegabili attraverso differenze espositive deducibili dai questionari prendendo in esame le fonti di esposizione più frequenti, eventuali differenze interindividuali nei trasportatori potranno indicare se tali differenze siano dovute alle caratteristiche dell’individuo e/o se ci siano altre fonti di esposizione significative non considerate, ma evidentemente rilevanti.

Chi realizza lo studio?

Lo studio è disegnato e coordinato dalla Regione del Veneto e dall’Istituto Superiore di Sanità che eseguirà anche le analisi sul sangue e analizzerà i dati, in collaborazione con la Regione del Veneto. Le ULSS coinvolte si faranno carico del reclutamento dei donatori, della raccolta di campioni biologici, della somministrazione del materiale informativo, dei questionari, e della restituzione dei risultati.

Lo studio è finanziato dalla Regione del Veneto attraverso una convenzione stipulata con l’Istituto Superiore di Sanità, in particolare con il Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria che si occuperà delle analisi, dell’elaborazione dei dati e della loro interpretazione, e contribuirà con le ULSS alla presentazione dei risultati.

Perché è importante questo studio?

I risultati delle determinazioni analitiche e genotipiche relative ai campioni di sangue dei singoli donatori non consentiranno di definire (o predire) il rischio individuale di specifiche patologie, ma potranno essere utilizzati nel loro
insieme per identificare specifiche fonti espositive rilevanti in diversi gruppi di popolazione, confrontare l’esposizione della popolazione in aree di ‘impatto’ rispetto ad altre zone. Lo studio ha carattere esplorativo, e come tale non può fornire una caratterizzazione esaustiva dell’esposizione della popolazione a PFAS, ma può sicuramente individuare situazioni ad elevata criticità espositiva. Sulla base dei risultati ottenuti in questo primo studio si potrà valutare se e come procedere con eventuali ulteriori accertamenti su altri campioni di popolazione al fine di garantire progressivamente la sorveglianza e la tutela della salute.

I risultati dello studio permetteranno di perfezionare e implementare le azioni già in corso di prevenzione primaria nell’area a rischio e di proporre provvedimenti per la salvaguardia della salute pubblica.

Come sarà divulgato lo studio?

I risultati complessivi dello studio verranno presentati pubblicamente in forma aggregata, i risultati individuali verranno restituiti dalle ULSS competenti ai diretti interessati e saranno accompagnati da tutte le spiegazioni necessarie per
un’ampia comprensione.